lunedì 27 aprile 2015

Jean Genet, Le Serve


Alberto Giacometti,  Jean Genet on a Balcony

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Il destino di Chiara e Solange, l'ambivalenza delle due sorelle serve nei confronti della Signora, elemento indispensabile per la loro finzione, indissolubile dalla loro stessa esistenza. La Signora, totem divino ed esecrabile agli occhi delle serve, non può morire senza che anche le serve cessino di esistere, cosicché la tresca e il piano criminale di costoro non può che condurle a una fine, detestata e bramata, la quale si attua come finzione: fine del gioco.

Puškin, Mozart e Salieri

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La "microtragedia" di Aleksandr Puškin coglie con brillante intuizione il rapporto tra genio e talento. Il poeta stesso diceva di sé che "quando Apollo non chiama al sacrificio", il genio è un uomo qualsiasi, facendo così interamente dipendere la potenza ispiratrice da una divinità del tutto scollegata dall'individuo. L'irrequietezza del Maestro Salieri è quella di colui che non sa darsi pace della non coincidenza tra l'apparire e l'essere: al Mozart svagato e incurante, così a vederlo, non si darebbe alcun credito quanto alla sua capacità di comporre immortali melodie, eppure...

Anna Viola e Valeri


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Viola presenta Sandro Penna, poesie

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mercoledì 15 aprile 2015

Gabriele D'Annunzio, La passeggiata

Il poeta vaneggia davanti alla realtà del femminile, nel sogno egli oltrepassa il mistero dell'amore, tutto il suo essere in balia com'egl'è di "una tristezza riposata ed eguale", che pare l'aldilà del principio di piacere. L'immagine femminile intensifica il sogno del poeta, il quale chiede, supplice, alla donna perdono alla donna per chi sogna, senza della realtà nulla affannarsi a comprendere, affinché essa la sua non-rivelazione mantenga intatta la visione beata che è il poetare. 
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 Romaine Brooks, Ritratto di D'Annunzio in esilio , 1912

martedì 14 aprile 2015

Otello

 
 Alexandre-Marie Colin, Otello e Desdemona

  
"L'animo dell'Attore è stato formato da quell'elemento sottile con cui Epicuro riempiva lo spazio, che non è né freddo né caldo, né pesante né leggero; che non assume alcuna forma specifica perché, suscettibile di averle tutte allo stesso modo, non ne conserva alcuna....L'Attore non è né un pianoforte né un arpa né un violoncello; non ha un accordo che gli sia proprio, ma assume l'accordo e il tono di volta in volta adatti alla parte ed a tutte le parti si conforma...L' Attore è una marionetta meravigliosa di cui il poeta tiene il filo con l'indicargli la forma precisa che ad ogni riga deve assumere...."
 

Anna Viola incontra Otello

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Otello e Desdemona a Venezia di Théodore Chassériau

martedì 7 aprile 2015

Vladimir Majakovskij, Poesie


Un breve excursus nell'intima voce del grande poeta russo, magnifico artefice di un discorso potentissimo e poeticissimo, il quale solo dall'intelletto si elabora e si intesse e che, senza nulla affatto comprendere di quello che "si dice" che sia il mondo, vede e canta, intuendo errabondo, altri mondi, altri pianeti estranii.

Nell'illustrazione: Ilya Repin, Ritratto di un poeta futurista russo(1916)

Anna Viola incontra Dante Alighieri

Anna Viola prosegue il suo ciclo di interviste con i grandi protagonisti della letteratura occidentale; ospite d'eccezione il poeta fiorentino Dante Alighieri, che racconta la sua esperienza poetica e si cimenta nella lettura del canto XI del Purgatorio.
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Nell'illustrazione: Dante e Beatrice contemplano il paradiso (Gustave Doré 1868)

Augusto Novelli, Gallina vecchia

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Alla riscoperta del teatro: il gusto della parola, non in quanto recitata, ma come "flatus vocis", sì che si potrà avere l'impressione, più che di essere in ascolto di una commedia, di trovarsi ad ascoltare un'intercettazione "ante litteram" effettuata in un salotto fiorentino dei primi del '900.

sabato 28 marzo 2015

Dante Alighieri, Visione della Donna

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Il poeta, stante l'eccidio perpetrato dalle Menadi sul corpo di Orfeo, il mitico "spàragmos", evento tramumatico, che dimora intatto nella memoria di ogni cantore dell'Essere, si muove agonizzando tra vita e morte, alla ricerca dell'ascolto della voce del poeta, le cui "disiecta membra" sono ovunque, per quanto oscurate dal rumore del niente al potere. Quando Dante ritrova la Donna, egli si rianima al punto da far tutto dipendere dalla risposta o meno di Costei, la cui visione racchiude tutto il senso della questua dell'Essere infinito. Non dunque nelle cose è la salvezza, ma nel ritrovamento della parola, integra nel suo canto.

giovedì 26 marzo 2015

Rainer Maria Rilke, Sonetti a Orfeo

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In Orfeo, nel canto suo immortale, è riposto il segreto dell'essere. L'Occidente, rinnegandolo, si condanna al frastuono del niente. Le Mènadi invasate fanno a brani il corpo del musico fanciullo, che tutto risuona nel canto. L'essere, eguagliato qui dal poeta al canto, continua a essere, ma si trova nel mondo disperso e impercettibile, eclissato dal vuoto rumore dei concetti. Spetta dunque a noi, ora, tornare ad ascoltarlo, sintonizzandoci sul canale della musica divina che Orfeo, nonostante lo spàragmos subito, continua ad eseguire, poiché tutto ciò che è gli appartiene nel suono. Orfeo è sempre, è in tutto; non è bastata la sua morte a ucciderlo.

mercoledì 25 marzo 2015

Aleksandr Blok, Poesie

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Il poeta moderno sperimenta il mondo esterno, sempre più organizzato a suo discapito, un mondo che lo esclude sempre più, fino a relegarlo nella parte del "suicidato della società", vive il rapporto suo con l'esistenza mortale qual tentazione perenne, cui la voce interiore, quella appunto poetica e assoluta - tale il demone di Socrate - lo distoglie, trattenendolo sopra d'un saggio indugio, l'esile ramoscello del gufo baudelairiano; ma non sempre il poeta moderno è da tanto. Anche lui, al pari del tenebroso demone di Lermontov, sente l'effluvio della vita mortale e, interrompendo bruscamente l'amicizia con l'eternità dei non-nati, vi si tuffa, senza, purtuttavia, abolendo, in questa sua discesa nel mare, il senso di miraggio e di fantasmagoria, che lo attornia qual aura incantata. Di qui ai turbamenti, ai pentimenti, ai ripensamenti il passo è breve: egli conserva inevitabilmente il suo odore di esule e, ora supplice e flebile, patisce come un castigo la sua caduta in quello che per lui - "sic fata voluerunt" - si rivela immancabilmente come un nebbioso Erebo, regno dell'ombra, che mai e poi mai, disdicendo a sé stesso, avrebbe dovuto varcare e attraversare.

domenica 22 marzo 2015

4 poesie da "Les fleurs du mal".

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"Lontanissimo dal cammino degli uomini". (Parmenide di Elea)
La saggezza del poeta, or gatto or gufo, perfettamente assente dalla realtà del mondo tumultuoso e dai suoi traffici.
Il poeta è lo sposo della tenebra, senza di che si spegne la sua voce, di ininterrotto conversare con l'ombra non mai apparsa.
Scrive Jean-Paul Sartre che Charles Baudelaire rimase affatto immune dal concetto di esperienza; non corse dietro mai a ombra nessuna, immobile sul suo ramoscello di notte sempre uguale, eternità iridescente del non-nato.

martedì 17 marzo 2015

Anton Čechov, Il canto del cigno.


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Esempio notevole di mobilismo psicologico, questo breve lavoro di Čechov fa risaltare il gioco dell'attore, la cui identità può darsi e dirsi solo come continuamente ricreata dall'ascolto del verbo acuminato, l'amor sensuale del quale, la sua irresistibilità mimetica, costituisce l'essenza stessa del poeta. L'attore si cala all'istante nella condizione momentanea che la parola evocata suggerisce al suo orecchio; così, di volta in volta, e all'infinito. Quasi fiume inarrestabile di "logica", intesa qui come senso del discorso, pare che l'attore stesso sia tentato dall'autocensura - "Basta con queste parole!" - quasi temesse egli stesso la prova di un fatto certissimo: l'impossibiltà di conoscere se stesso se non come continuamente ignoto a se stesso in quanto "puro Dioniso": dio tragicomico della mutazione istantanea senza concetto. Non c'è memoria di sé che per non altro sia impiegata, se non come occasione d'oblio e di ricreazione dell'identità al tempo stesso.
(Si consiglia l'ascolto in cuffia).

venerdì 13 marzo 2015

Lermontov, il demone. Frammento



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Il tormento dell'immortalità: Il Dèmone, colui che non può nascere e che non può morire, qui colto nel suo controverso rapporto con l'umanità: "Nec sine te, nec tecum.."

martedì 10 marzo 2015

Sullo "Skaz": Il tono del discorso

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La composizione di una novella dipende in notevole misura dalla funzione che nella sua struttura ha il tono personale dell'autore: se questo tono sia il principio organizzativo che dà una maggiore o minore illusione di skaz, oppure sia soltanto un legame formale tra gli avvenimenti, e abbia perciò una posizione ausiliaria. La novella primitiva, come il romanzo d'avventure non conosce lo skaz, e non ne ha bisogno, perchè tutto il suo interesse, tutto il suo movimento, sono definite dall'alternarsi rapido e multiforme degli avvenimenti e delle situazioni [...].
Del tutto diversa è la composizione se il soggetto (...) cessa di avere una funzione organizzativa: se cioé il narratore mette se stesso in primo piano, quasi volesse servirsi del soggetto solo come di un mezzo per intrecciare signgoli procedimento stilistici.
Da: Boris Ejchenbaum, "Come è fatto il cappotto di Gogol".

lunedì 9 marzo 2015

I promessi sposi, La madre di Cecilia

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Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de'volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così».
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affacendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri». Poi, voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola».
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.

mercoledì 4 marzo 2015

Delitto a Villa Roung, di Achille Campanile

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Delitto a Villa Roung è certamente una piccola gemma, un'arguta parodia del genere "giallo". La situazione iniziale rievoca il più classico dei noir: in una villa londinese si indaga su un misterioso assassinio…tutto quel che accade dopo, invece, mette in luce la genialità di Achille Campanile nel costruire situazioni grottesche ed estremamente divertenti, in un tourbillon che non permette di prevedere il colpo di scena finale.

martedì 3 marzo 2015

La cena delle beffe

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Tra Neri e Giannetto si trascina da anni una catena di dileggi e scherni. Per vendicarsi di Neri, Giannetto lo attira ad una cena di pace, inducendolo a fare una bravata e spargendo poi la voce della sua follia. Mentre neri viene immobilizzato e la notizia della pazzia si sparge per la città, Giannetto si reca da Ginevra, amante di Neri.....

Anna Viola legge "Lettere di A. Manzoni"

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Ma chi ha detto che Manzoni fosse noioso? Gentiluomo di straordinario fascino e scrittore di cesello: attraverso la lettera a Stefano Stampa, Anna Viola ci mostra l'eleganza e il fascino di un "uomo double face"...e non rinuncia a qualche deliziosa frecciata alla società d'oggi.

martedì 24 febbraio 2015

D'Annunzio, La Gioconda



Come vivere se non attingendo alla bellezza e all'arte? E l'arte, come l'amore, mal si concilia con la bontà.  Nel gioco illusorio e s-misurato che conduce al sublime si svolge il destino delle anime pregiate.

Un fervore straordinario riscalda la sua voce. Colui che lo ascolta ne è sedotto, e ne dà segno.

sabato 7 febbraio 2015

Cusano, la dotta ignoranza e il valore della parola. DI ENRICO STIACCINI



Cusano, la dotta ignoranza e il valore della parola.

La filosofia non è altro che la scoperta dell’intelligenza e dell’intelletto che ad essa consegue. Leggendo dentro la mente, infatti, io posso dirmi intelligente e l’intelletto sarà il frutto o prodotto di quella lettura interna. La filosofia, cioè, inaugura una realtà seconda, quella appunto intellettuale, che si vuole affatto distinta dalla realtà mortale, esteriore, in base alla quale l’uomo si trova obbligato a fare i conti con “quel che passa il convento”, ossia con lo spettacolo della storia, dovendo il mortale fare i conti, facendosene magari un’idea, con le cose che a lui si apprendono dall’esterno. Il filosofo non ammette che l’uomo che si trova costretto a prendere atto del mondo esteriore, regolandosi sulla base di quello, possa dirsi libero, poiché costui sarà di fatto sempre assoggettato al potere di qualcosa di estraneo alla sua intima natura, ovverosia asservito al potere delle cose e non invece libero artefice della propria esistenza, considerata filosoficamente come prodotto schietto e genuino dell’attività intellettuale dell’essere pensante. Si è tanto più filosofi quanto meno si riceve notizia di sé dall’esterno e quanto più, al contrario, la nostra esistenza viene a essere il felice prodotto della nostra stessa attività intellettuale, la quale sola ci dà spontaneamente il senso della nostra identità. L’identità del filosofo, venendo in tal modo a coincidere perfettamente con l’attività del pensiero stesso, non è un’identità rigida, assegnata da un potere esterno alla coscienza secondo il modo dello spazio e del tempo, bensì è un’identità che, per quanto sempre identica a se stessa quanto al suo essere il prodotto costante del rapporto interno che si opera tra il soggetto e l’oggetto o noumeno – nascosti entrambi a qualsiasi rappresentazione – appare al mondo come discontinua, dandosi a divedere piuttosto come una sequela di giustapposizioni o di occasioni felici, che non sono rette fra loro da nessun principio o legge di causalità, il mondo risultante dall’attività operosa dell’intelletto somigliando piuttosto a quel mondo che è in ogni istante “creato da Dio”, avente come unica legge quella suddetta della consonanza tra soggetto e oggetto: io sono in quanto io penso e io penso in quanto io sono. Cartesio, in effetto, nient’altro dice che questo: che la chiave del mio essere è solo il frutto del mio pensamento, ossia segue una regola esclusivamente interna, affatto indipendente e separata da ciò che scintilla o vaneggia davanti ai miei occhi mortali. Ha senso, a questo proposito, parlare di esistenza poetica come affatto contrapposta a qualsivoglia forma di esistenza mortale o esteriore, poiché il tempo e lo spazio in cui il filosofo si trova a vivere istante dopo istante, in modo discontinuo e impermanente, ma al contempo senza soluzione di continuità, non altrimenti debbono essere intesi che come il prodotto di un atto poetico o creativo, la cui operazione, tanto palese nel suo risultato, è invero indimostrabile quanto alla sua immediata operazione, per via del suo collocarsi in un punto remoto da qualsiasi intendimento, la cui natura è dell’increato e del sovrapersonale, non potendosi dare assimilazione alcuna tra l’essere e l’apparire, tra il noumeno e il fenomeno, tra l’atto propriamente poetico – intimior intimo meo et superior summo meo – e il suo risultare all’infuori della sfera coscienziale in cui esso si vuole liberamente prodotto.  
Se venisse meno il senso di due realtà, entrambe umanamente legittime e tuttavia antitetiche fra loro, cadrebbe affatto il discorso della beatitudine filosofica, già enucleato da Aristotele, fra gli altri, quando “Il filosofo” ci parla della vita teoretica come di quella che può dirsi divina a giusto titola, in quanto affatto disgiunta da qualsivoglia esteriorità anti-filosofica, ossia non intensa, non risultante dal limpido e fulgente prodotto della cogitazione – co/agitazione – interiore. L’esistenza teoretica o poetica è in effetto tutto ciò che io posso produrre affatto indipendentemente dalle condizioni spazio-temporali a me assegnate dalla stessa nascita di me in quanto fenomeno mortale, essendo quella rispetto a questa un perpetuo e fecondo guadagno e non invece, come nel caso contrario, una sorta di necrofilo parassitismo, trovandosi l’uomo non filosoficamente libero a nutrirsi piu’ o meno scientemente della mortalità e delle sue infiorescenze.
Dice Shakespeare nel suo sonetto 146: Buy terms divine in selling hours of dross…
Ciò vuol dire che il filosofo non fa nessun conto del tempo mortale, affidato alle cronologie, che naturalmente si perde senza pro e senza coscienza; il tempo esteriore, che non è della stessa natura del tempo interiore, non ha nessun valore per colui che, da filosofo, vive scandendo un tempo affatto altro; del tempo esterno alla coscienza meno si ha notizia o informazione, più possiamo a ragione dirci liberi dalla mortalità e dalle sue catene.
La consonanza tra il sonetto di Shakespeare e la formula cusaniana che compendia il senso della dotta ignoranza è innegabile: quanto più noi rimaniamo ignoranti su tutto quanto viene ad apprendersi a noi dall’esterno, tanto più noi sentiamo e sperimentiamo di essere dotti ovverosia liberi e non schiavi. Non si può negare che nel Cusano sia ben chiaro il senso delle due realtà che si danno contesa nell’uomo: il mondo poetico che affiora dall’intimo della coscienza e il mondo esteriore dei fatti e della storia, sul quale non fa d’uopo affaccendarsi, pena la perdita della nostra libertà stessa. Spinoza afferma che gli uomini, figurandosi di operare per la loro libertà, altro non fanno che stringer le catene della loro schiavitù, poiché è sempre da una coscienza eteronoma che ricevono regole e precetti, conformandosi insensibilmente a un modello già approntato per essi da una qualche entità che non è la pura facoltà intellettiva. Lo stesso Paolo, nella Lettera ai Romani, invita “il fedele d’amore” a non conformarsi per nessun motivo “huic saeculo”, ossia alla legge esteriore del tempo, la quale per il filosofo Bonaventura da Bagnoregio non era altro che “deliciosa caligo”, tanto strenua e possente ebbe a essere la sua attività intellettuale, al punto da renderlo affatto immemore e insensibile delle cose forastiche alla sua coscienza operosa ovverosia al suo intelletto agente.
Quando si pensa che l’operazione hegeliana aveva come unico scopo quello di abbattere la realtà interiore dell’uomo, costringendo il futuro cittadino dello Stato Etico a conformarsi obbligatoriamente a una qualsiasi delle opzioni concesse dalla esteriorità della legge dogmatica dell’etica, non si tarda a intendere che lo hegelismo non è altro che una liquidazione della filosofia stessa, tanto più grave per il fatto che si ammanta del nome di quella, rendendosi in tal modo insospettabile agli occhi degli storici, i quali concludono col percepirla come una naturale evoluzione del pensiero, quasi che l’identità di coscienza, l’essere e il pensiero stesso fossero delle condizioni assoggettate al divenire della storia e non invece, come esse dan prova di essere, dei saldi possessi dell’uomo intelligente…il paradosso e la farragine della filosofia hegeliana è quello stesso che autorizza il cittadino alfabetizzato a sentirsi piu’ intelligente di Eraclito, di Empedocle o di Zenone, per il solo motivo che egli è nato dopo di costoro e che quindi è maggiormente nelle grazie del progresso del mondo. 

                                                                                                                        ENRICO STIACCINI

venerdì 6 febbraio 2015

Maria Callas: "Printemps qui commence"

https://vimeo.com/91054062

Arte e poesia

Chiamo "poetico", a prescindere da qualsiasi lirismo, tutto ciò che è prodotto da una visione interna alla mente, cioè da una felice intuizione intellettuale affatto indipendente dalla realtà esteriore. É necessario ricordare che per Kant e per i filosofi fino a lui, vi sono due realtà e non una soltanto, come accadrà a partire dal riduzionismo politico hegeliano. Il filosofo Schelling, una delle vittime dello Hegel, stimava infatti l'intuizione intellettuale come il tesoro più fulgido di cui l'uomo potesse disporre, facendo così eco ad Aristotele, il quale assimila il "bios theoretikos" alla vita divina. L'uomo a una dimensione, una creazione dell'idealismo statalista e teocratico dello Hegel, si trova finalmente costretto a dibattersi esclusivamente con un concetto di realtà imposto dall'esterno, sì che l'intelletto - propriamente "ciò che leggo dentro di me" - diviene un pleonasmo o addirittura il nemico da abbattere, non potendo esso trovarsi giustificato da nessuna informazione esterna alla coscienza stessa. Riporto qui di seguito le belle parole di Schelling, le quali rendono perfettamente il senso autentico dell'intelligenza: "In noi è una facoltà misteriosa e meravigliosa, di ritirarci nel nostro io, spogliato da tutto ciò che gli viene dall'esterno..tale intuizione è l'esperienza più intima e più propria, da cui dipende tutto ciò che sappiamo e crediamo di un mondo che si sbaglierebbe a chiamare metafisico, poiché di esso si dà una chiara e distinta esperienza sensibile...a contatto con l'intelligenza, come afferma Spinoza, noi sentiamo e sperimentiamo qualcosa di immortale".

Ettore Tito, Le mondine in Polesine.

Ettore Tito, Le mondine in Polesine.

John Singer Sargent, Gruppo coi parasole.

John Singer Sargent, Gruppo coi parasole.

Elena Canino, "La vera Signora" (II)

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mercoledì 4 febbraio 2015

Amleto

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Francisco Ribalta, Estasi di san Bernardo, 1627. (Museo del Prado).

Francisco Ribalta, Estasi di san Bernardo, 1627. (Museo del Prado).

David Herbert Lawrence, "When I Read Shakespeare".

David Herbert Lawrence, "When I Read Shakespeare".

When I read Shakespeare I am struck with wonder
that such trivial people should muse and thunder
in such lovely language.

Lear, the old buffer, you wonder his daughters
didn't treat him rougher,
the old chough, the old chuffer!
And Hamlet, how boring, how boring to live with,
so mean and self-conscious, blowing and snoring
his wonderful speeches, full of other folks' whoring!
And Macbeth and his Lady, who should have been choring,
such suburban ambition, so messily goring
old Duncan with daggers!
How boring, how small Shakespeare's people are!
Yet the language so lovely! like the dyes from gas-tar.

Caravaggio, Santa Caterina. Caravaggio, Santa Caterina.

Caravaggio, Santa Caterina. Caravaggio, Santa Caterina.

Lovis Corinth (1858-1925), Sansone accecato.

Lovis Corinth (1858-1925), Sansone accecato.

Giuseppe Maria Crespi, Apoteosi di Ercole, particolare dell'affresco (Bologna, Palazzo Pepoli).

Giuseppe Maria Crespi, Apoteosi di Ercole, particolare dell'affresco (Bologna, Palazzo Pepoli).

Luca Signorelli, Pietà (particolare).

Luca Signorelli, Pietà (particolare).

Charles de la Fosse, Bacco e Arianna.