martedì 9 dicembre 2014

Il senso ultimo della filosofia kantiana: ciò che è reale, io posso conoscerlo solo nella misura in cui è "razionale", ossia secondo il linguaggio dell'anima intellettiva. Tra la realtà (fenomeno) e la razionalità (noumeno o oggetto dell'intelligenza) si dà una differenza di natura. Ciò che è reale, può dirsi razionale solo in quanto filtrato da un processo conoscitivo che ne muta la specie, traducendolo soggettivamente in qualcosa d'altro da ciò che appare. Era quindi indispensabile per l'idealismo a venire, il cui scopo era quello di fare del reale in sé (!) la misura della razionalità (lo Spirito infinito di Hegel) abbattere la naturale dicotomia kantiana (o filosofica tout-court) onde asservire gli uomini alla viltà dei fatti storici spacciati per assoluti. Il passaggio da Kant a Hegel segna così l'inizio del barbaro invilimento del genere umano, costretto a prendere atto di una realtà posta esteriormente (!) come razionale.
Per Kant, infine, l'apparire di qualcosa non implica necessariamente la sua possibilità oppure, se la implica, la implica come altro da quel che appare.

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