Il bellissimo adagio dei Nominales: “Stat rosa pristina nomine, nomina
nuda tenemus” è una dichiarazione di coraggio scettico. Per quanto io mi
sforzi, per quanto io moltiplichi gli epiteti, ci sarà sempre, in un
essere pensante, una definizione di rosa pronta a soppiantare quella da
me data.
E’ questo che distingue l’essere pensante dall’essere non pensante: che
l’essere “non pensante” accoglie “una” definizione. Quando il pensiero
opera, ripete la virtus ipsa di Spinoza, trapassa all’istante qualsiasi
definizione; quando invece il mio pensiero non è in condizione di
operare si acquieterà davanti ad una definizione qualsiasi. La nostalgia
dell’unità che si cerca di riportare nella molteplicità, quando io non
riesco più a reggere a quella “meravigliosa fantasmagoria” alle
trasformazioni continue che avvengono nella mia mente.
Nessun nome sta appiccicato alle cose in maniera credibile perché quella
rosa che ora dico gialla tra un po’ mi parrà verde. Quando la nostra
mente è davvero in attuosità di pensamento, viene spontaneo di
trabalzare quella definizione da me testé data, perché è pure sempre
vero anche il contrario. Questo è il modus operandi del cogito stesso:
finché il cogito opera in noi, quindi, filosoficamente noi possiamo
dirci liberi.
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