venerdì 19 dicembre 2014

Il bellissimo adagio dei Nominales: “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus” è una dichiarazione di coraggio scettico. Per quanto io mi sforzi, per quanto io moltiplichi gli epiteti, ci sarà sempre, in un essere pensante, una definizione di rosa pronta a soppiantare quella da me data.
E’ questo che distingue l’essere pensante dall’essere non pensante: che l’essere “non pensante” accoglie “una” definizione. Quando il pensiero opera, ripete la virtus ipsa di Spinoza, trapassa all’istante qualsiasi definizione; quando invece il mio pensiero non è in condizione di operare si acquieterà davanti ad una definizione qualsiasi. La nostalgia dell’unità che si cerca di riportare nella molteplicità, quando io non riesco più a reggere a quella “meravigliosa fantasmagoria” alle trasformazioni continue che avvengono nella mia mente.
Nessun nome sta appiccicato alle cose in maniera credibile perché quella rosa che ora dico gialla tra un po’ mi parrà verde. Quando la nostra mente è davvero in attuosità di pensamento, viene spontaneo di trabalzare quella definizione da me testé data, perché è pure sempre vero anche il contrario. Questo è il modus operandi del cogito stesso: finché il cogito opera in noi, quindi, filosoficamente noi possiamo dirci liberi.

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